Il 6 ottobre ho fatto un viaggio.
Sono partito, come ogni mattina, dall’ormai familiare sede di via Due Palazzi, dove ho incontrato quelli che sarebbero stati i miei compagni di viaggio: qualche volto già noto, qualcuno un po’ meno, ma ancora per poco.
Varchiamo la porta del centro diurno e ci sembra di entrare in una galleria d’arte: ci muoviamo in silenzio per le sale, osservando gli artisti dare forma alla loro ispirazione nei modi più disparati, producendo oggetti unici che vanno a colorare l’ambiente e i nostri occhi.
Una passeggiata tra i campi nelle immediate vicinanze della sede, che ospitano lunghe file di colture nascoste agli occhi dei più, dove decine di mani ogni giorno lavorano per portarle alla luce attraverso i loro frutti, ci mette nella miglior disposizione d’animo per proseguire la giornata.
Arrivati al Lop, vediamo persone di ogni età intente ad armeggiare attorno a grandi banconi, sui loro volti si legge la concentrazione: stanno lavorando. Avanziamo con incertezza, abbiamo paura di disturbare, ma ogni sguardo incrociato ci accoglie con calore e scioglie piano piano la nostra deferenza.
Alla clubhouse Piano Terra c’è tempo giusto per un thè in compagnia, tutti seduti intorno ad un grande tavolo come nei ritrovi di famiglia: le voci si mescolano alle risate, anche chi resta in silenzio non può fare a meno di allargare la bocca in un sorriso spontaneo.
Arriviamo poi a La Bussola, dove tra un boccone e l’altro abbiamo il piacere di ascoltare storie che evocano tempi e luoghi lontani, ma che diventano sorprendentemente vicini nell’intimità di un pranzo condiviso.
A La Meridiana, sotto un sole ancora estivo, incontriamo dei ragazzi, con ogni probabilità nostri coetanei, con cui ci apriamo attraverso un microfono, per raccontarci e allo stesso tempo accogliere le loro storie che trapelano dal tono della voce, dagli sguardi, dai gesti.
Guardiamo l’orologio e ci rendiamo conto che la giornata è volata, è ora di tornare alla base.
Pedalando verso casa il sole mi sembra più caldo, i colori più vividi, le gambe vanno quasi da sole.
Il viaggio è finito, ma l’impronta che mi ha lasciato dentro mi accompagnerà ancora per molti giorni.
Grazie.
Carlo (e Jessica, Eleonora, Lara, Daphne, Valeria, Aurora, Ignazio, Sole)